Clima. Nel 2018 nuovo record delle emissioni di CO2
I cinesi non hanno una Greta Thunberg capace di portare i giovani in piazza per protestare contro il lassismo dei governi sul fronte del cambiamento climatico. Non hanno neanche un sistema politico che permetterebbe manifestazioni come i “venerdì dell’ambiente” che abbiamo da poco scoperto in Europa. Questo è un problema, perché gli sforzi per contenere le emissioni di anidride carbonica e di gas serra possono dare risultati se collaborano tutti, a partire dai principali responsabili. Cioè a partire dalla Cina, come confermano i numeri del Global Energy and CO2 Status Report pubblicato oggi dall’Agenzia internazionale per l’energia (Aie).
Il rapporto dell’Aie, che si occupa di fare analisi e dare indirizzi di politica energetica alle nazioni dell’Ocse, è allarmante. Tra il 2014 e il 2016 l’economia mondiale era riuscita a crescere senza aumentare le emissioni di anidride carbonica. Questa dinamica positiva si è interrotta nel 2017. Nel 2018 la situazione è peggiorata. Il consumo mondiale di energia è aumentato del 2,3%, un ritmo doppio rispetto alla media dell’ultimo decennio. La CO2 generata del settore energetico, che rappresenta più o meno il 60% del totale di anidride carbonica immessa in atmosfera, è aumentata dell’1,7% raggiungendo il nuovo massimo storico a 33,1 miliardi di tonnellate. Era dal 2013 che le emissioni di anidride carbonica non aumentavano tanto. I 560 milioni di tonnellate di CO2 aggiuntiva immesse in atmosfera l’anno scorso, avverte l’Aie, corrispondono alle emissioni annue dell’intero settore del trasporto aereo.
Di questi 33,1 miliardi di tonnellate di emissioni, 9,5 sono attribuibili alla Cina, dove l’anidride carbonica immessa in atmosfera è aumentata del 2,5% lo scorso anno. La Repubblica Popolare produce, da sola, più CO2 di Stati Uniti ed Europa messi assieme: per gli Usa le emissioni 2018 sono ammontate a 4,9 miliardi di tonnellate, per l’Ue a 4 miliard. L’Europa, c’è da aggiungere, è anche l’unica area del mondo che l’anno scorso è stata capace di tagliare la CO2 prodotta (-1,3%), soprattutto grazie al contributo di Germania, Francia e Regno Unito. Le emissioni sono diminuite anche in Giappone, mentre negli Stati Uniti sono aumentate del 3,1% e in India del 4,8% (a 2,3 miliardi di tonnellate). Per gli Stati Uniti, ricorda l’Aie, siamo comunque sotto i livelli di emissioni del 1990 e la CO2 prodotta è stata del 14% inferiore al picco del 2000.
La geopolitica dell’energia e dell’ambiente è piuttosto chiara. C’è un’Europa che sta facendo sforzi significativi per migliorare il suo modello, contenendo i consumi energetici e tagliando le emissioni. L’Ue, pur con i suoi limiti, è un modello di efficienza: per produrre 1000 dollari di Pil in Europa occorrono 0,079 tep, cioè serve energia pari al consumo di 79 chili di petrolio. Negli Usa ne servono 112 chili, in Cina 125. In questa situazione, i 50 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 “tagliate” dall’Europa svaniscono davanti ai 230 aggiunti dalla Cina, ai 138 aggiunti dagli Stati Uniti e ai 105 aggiunti dall’India. Il problema di Cina e India è che non riescono ad andare oltre il carbone, che è la più inquinante tra le fonti di energia. Nonostante la Repubblica Popolare sia leader nell’espansione di energia rinnovabile e nucleare, la sua crescita nelle energia pulite non riesce a tenere il passo con l’aumento del suo fabbisogno energetico. Per questo ricorre al carbone, con aumento dei consumi del 5%. Quasi identica la dinamica dell’India, unica altra grande economia mondiale ad avere aumentato il suo consumo di carbone.
In questo quadro l’aumento dei consumi di gas naturale, +4,6% nel 2018 dopo il +3% del 2017, è da leggere come un dato positivo. Nelle transizione energetica, spiega l’Aie, il gas è la prima fonte utilizzata da chi riduce il consumo di carbone: più precisamente un quinto dell’aumento del consumo di gas è spiegato dal passaggio dal carbone al metano. Negli Stati Uniti, per esempio, a un calo del 4% dei consumi di carbone si è accompagnato un aumento del 10% di quelli di gas. Nonostante nella sua retorica elettorale Donald Trump si fosse speso a difesa delle centrali a carbone, l’Aie nota che i consumi di carbone in America sono scesi ai livelli più bassi dagli anni ‘70.
Il bilancio complessivo non può essere positivo. «Nonostante il grande aumento delle rinnovabili, le emissioni globali continuano ad aumentare, dimostrando ancora una volta che servono azioni urgenti su tutti i fronti» ha sottolineato Fatih Birol, il direttore generale dell’Aie. L’Agenzia per la prima volta pubblica anche la sua stima sull’impatto dei combustili fossili sulle temperature globali: attribuisce alla combustione del carbone 0,3 gradi di aumento delle temperature globali rispetto all’era pre-industriale. È quasi un terzo dell’aumento totale, stimato in un grado.